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🇨🇳 🇪🇺 Capire il "comunismo" cinese per salvare l'Europa
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Sempre più spesso quando entro in una attività commerciale “cinese” nel quartiere dove vivo (ma vale per qualsiasi altro posto) “avverto” da parte dei commessi con gli occhi a mandorla un atteggiamento “furbo” e “consapevole” nei confronti dei clienti.
Mi spiego meglio.
Per anni, da sempre direi, abbiamo avuto nella nostra mente l’idea che i cinesi siano uno dei tanti popoli che fuggono dalle loro terre per trovare fortuna altrove aspettandoci da parte loro un atteggiamento “subalterno” e di quasi “riverenza” tipica di chi deve “chiedere” verso di chi “può dare”.
Lo è stato di sicuro per tanti italiani emigrati (forse ancora oggi in qualche caso), lo è ancora oggi per tantissimi altri popoli come gli africani, i “bangla”, i “cingalesi”… ma non per i cinesi.
Il “commerciante” cinese ormai fa parte della nostra quotidianità e quando interagisco con un commesso cinese ho la sensazione “a pelle” di essere considerato come l’ennesimo pesce caduto nella loro rete.
Questa gente ormai non si sente più come un ospite che deve avviare una attività, ma come un operatore di cui tutti hanno bisogno.
Vediamo come un paese “comunista” sta diventando la vera alternativa economica agli Stati Uniti e come l’Europa può salvare se stessa.
Buona lettura!
Capire il "comunismo" cinese con i fatti
Ogni volta che penso alla Cina come un paese “comunista” il cervello va in cortocircuito.
Oggi la Cina sta sfidando l’intero occidente su tutti i fronti ma non come potenza militare, come fatto ad esempio dall’Unione Sovietica durante la guerra fredda, ma con il “mercato” tramite le sue aziende private.
Cioè sta sfidando ad armi pari i paesi “democratici” occidentali sul loro terreno naturale: industria, prodotto, mercato, clienti.
Mi riferisco in particolare agli Stati Uniti, che con la rielezione di Trump hanno definito la Cina come il “nuovo“ nemico numero 1 da contrastare ad ogni modo (NB: tema molto complesso che va ben oltre le “trumpate” che sono fumo negli occhi non casuali).
Quello che accade dentro il confine cinese non è molto chiaro, specie a livello sociale e dei diritti umani. Parliamo pur sempre di una vera “dittatura” che comanda un miliardo di persone verso una unica direzione.
Ma per quello che ci riguarda abbiamo la priorità di capire da dove arriva questa forza “commerciale” e come dobbiamo “usarla” a nostro favore.
Il piano “Made in China 2025”
The Economist in questo articolo ha messo in risalto il piano messo in atto dalla Cina per diventare la potenza industriale che oggi conosciamo.
Il piano, introdotto dieci anni fa, mirava a trasformare la Cina in una "potenza manifatturiera" verde e innovativa, riducendo la dipendenza dalla manodopera e dalle catene di fornitura occidentali, puntando su automazione e tecnologie nazionali. Questa era la visione di Xi Jinping per l'economia cinese.
E’ stato un successo incredibile in diversi settori:
Energia “pulita”: nel 2015 producevano il 65% dei pannelli solari e il 47% delle batterie del mondo, oggi sono responsabili di circa il 90% e il 70%. In gran parte del mondo, la transizione verde è alimentata da kit realizzati in Cina
Veicoli elettrici (EV): Il piano prevedeva che le aziende cinesi vendessero 3 milioni di auto nel 2025. Ne hanno venduti più di 10 milioni l'anno scorso, rappresentando quasi due terzi del totale globale.
Droni: il più grande produttore cinese di droni, DJI , è ancora più dominante. La sua quota del mercato globale dei droni per consumatori è superiore al 90%.
Una capacità di “esecuzione” mai vista prima che in Europa ci sogniamo.
Da questo grafico si capisce come di fatto la Cina ha preso il ruolo che il Giappone e la Corea del Sud avevano nel mondo negli anni ottanta e novanta (NB: da notare la nostra piccola Italia come si fa rispettare):
Ovviamente c’è il rovescio della medaglia: a quali costi questa crescita?
Finanziamenti statali, terreni gratis, bassa tassazione e manodopera a basso costo che nessuna nazione al mondo può permettersi.
Proprio quest’ultimo punto mette in evidenza come i “consumatori” cinesi non possono permettersi l'acquisto di tutte le cose che le loro fabbriche producono. Quindi il paese è impegnato a esportare il resto, deve esportare senza scelta.
Ovviamente tale situazione ha inasprito le relazioni commerciali con gli atri paesi, USA in testa che si è attrezzata con un nuovo governo Trump tutto da scoprire.
Gli ecosistemi tecnologico-industriali della Cina
Grazie ad un post di Padre Paolo Benanti, delegato del governo italiano per la strategia di sviluppo dell’AI, ha messo in evidenza l’analisi di Kyle Chan dell’intero ecosistema tecnologico e industriale che la Cina è riuscita a realizzare con il piano decennale che ho citato sopra.
Questo grafico ci fa capire come i cinesi sono stati bravissimi a trasformare il concetto di “sovrapposizione” tra settori industriali da punto di debolezza (come accade tra vecchi competitor) in punto di forza nazionale:
Come possiamo vedere le aziende, al centro dei vari “insiemi” (i cerchi), si sovrappongono l’un l’altro condividendo strati tecnologici che evitano inutili, costose e lente duplicazioni. Il tutto reso possibile da una regia del partito centrale che non lascia opzioni.
Spesso si verifica una "coevoluzione industriale" in cui settori correlati si sviluppano insieme. Questo accade ora con i veicoli elettrici e le batterie, data la loro profonda interdipendenza.
La crescente forza della Cina in vari ecosistemi tecnologici-industriali è dovuta alla convergenza tra domini precedentemente distinti, come telefoni e automobili, che si fondono in hardware e software, ad esempio in smartphone e veicoli elettrici o autonomi.
Davvero bravi, punto.
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Le ultime iniziative del governo cinese
Come riportato da Il Sole 24 Ore, qualche giorno fa il Comitato Centrale per lo sviluppo Economico Cinese si è messa al lavoro per un nuova legge che mette al centro le aziende tecnologiche private nazionali al fine di spingere ancora di più sull’innovazione.
Ancora una volta il partito “comunista” cinese punta sugli imprenditori privati a patto che siano allineati con i piani di sviluppo della nazione.
Ecco qualche numero per far capire cosa rappresentano queste aziende:
oltre il 60% del Pil,
il 48,6% del commercio estero
il 56,5% degli investimenti in beni fissi
il 59,6% delle entrate fiscali e
oltre l′80% dell’occupazione urbana
Tutti ricorderanno la stretta verso queste aziende al tempo del Covid quando diversi miliardari cinesi sono stati messi al bando, ma ora grazie a questa nuova posizione di puro pragmatismo “socialista” il governo centrale li pone al centro della strategia dei prossimi anni.
Ecco le aziende invitate all’incontro esclusivo con il presidente Xi Jinping:
Zeng Yuqun, Ceo di CATL;
Wang Chuanfu di BYD;
Pony Ma di Tencent proprietario di Wechat;
Lei Jun di Xiaomi;
Ren Zhengfei, capo di Huawei;
Wang Xingxing, fondatore di Unitree;
Leng Youbin di Feihe’s;
il giovane Liang Wenfeng, capo di DeepSeek (che ha messo sotto attacco i giganti tech americani).
Da notare l’assenza dei fondatori di Baidu e ByteDance, cioè Tik Tok, quindi qualcosa bolle in pentola (forse una piccola concessione a Trump in una possibile tregua nella guerra dei dazi?).
Non trovate qualche similitudine con l’approccio di Trump appena insediato verso le aziende tech americane?
Quasi come se queste aziende rappresentassero i nuovi “eserciti” delle due super potenze.
Parallelamente nel settore automotive, vengono annunciate le operazioni di consolidamento per due aziende partecipate dallo stato cinese come Dongfeng e Changan.
Come per le case tradizionali occidentali anche per quelle cinesi fanno fatica a tenere il passo del processo di elettrificazione e della competizione interna con aziende tipo BYD.
Questo per far capire che la strategia governativa è spietata: o sei utile alla crescita del paese o ti riorganizzi in modo serio.
Quali soluzioni per l’Europa?
Ho trovato molto interessante questo articolo di Michael Dunne dal titolo “Dalla Cina all'Europa: sposami, altrimenti…”.
Ammesso che ci sia un bagno di umiltà da parte del management delle case europee, viene proposto di prendere spunto dalle strategie tariffarie e industriali della Cina come quando a partire dagli anni '80, imposero joint venture produttive al 50-50 per ogni casa automobilistica europea che entrava nella RPC.
L'Europa dovrebbe imporre le stesse condizioni sia per la produzione di auto che per quella di batterie. Per la serie: "se vuoi accedere al redditizio mercato europeo, investi nella produzione qui e assegna il 50% della proprietà a un'azienda europea".
La JV Stellantis - Leapmotor 51% - 49%, costituita lo scorso maggio, funge da modello di lavoro (NB: come detto in precedenza, da Stellantis vedremo nel tempo buone cose).
L'Europa dovrebbe anche rendere gli accordi di trasferimento tecnologico una parte obbligatoria di qualsiasi investimento cinese.
Altavilla di BYD lancia il pre-fidanzamento
Alfredo Altavilla, ex braccio destro di Marchionne e oggi Advisor Strategico di BYD per l’Europa, ha già messo in atto azioni di puro pragmatismo di questo tipo.
Senza perdere tempo, nei giorni scorsi ha organizzato il primo incontro del tour europeo dell’azienda cinese con i fornitori locali della filiera automotive per produrre auto in Europa.
Non è stato un caso che sia stato promosso e fatto a Torino, come centro della cultura ed esperienza della manifattura italiana nella produzione di componentistica.
Un grande riconoscimento da parte di una manager di lunga esperienza, che dimostra come la casa cinese stia mettendo a terra alla lettera quanto chiesto dal presidente cinese.
👉 Sintesi finale
La “consapevolezza” che leggo nei volti dei commercianti cinesi è ben fondata.
Sanno che oggi sono una super potenza economica al pari degli americani.
Restando con i piedi per terra e guardando in casa nostra, le case europee non possono non considerare una apertura in termini di perdita di “possesso” anche minima del loro orticello in favore di un riposizionamento generale delle forse in campo.
Come dice Altavilla “I big europei non ascoltano abbastanza il cliente, anche perché sono costrette a correre dietro agli eccessi di regolamentazione della Commissione europea”.
Un cane che si morde la coda.
Personalmente sono convinto che in Europa non avverrà una transizione verso l’elettrico piena ma resterà una quota non importante, lasciando ampio spazio all’ICE con le motorizzazioni ibride o carburanti alternativi. Sarà un mercato dove la flessibilità dell’offerta sarà vincente per anni.
Quindi le case europee hanno l’opportunità di far entrate i cinesi a condizioni “utili” mantenendo la propria identità e valore sul mercato.
Ovviamente a patto che dalle elezioni tedesche di domani esca fuori qualcosa che faccia svegliare i politici europei e che, come dice Mario Draghi “basta dire solo no, fate qualcosa!”
💸 Follow the MONEY
In questa sezione ho creato due portafogli con i titoli delle case auto tradizionali e di quelle nuove (EV e cinesi) con l’andamento dell’anno in corso (proviamo così, mi dirai se ha senso o meno).
Ritengo importante tenere sempre ben in vista i valori di questi due aggregati come una sorta di “sentiment” del settore nella sfida tra i player storici e quelli nuovi perchè è qui che si giocherà la partita nel medio e lungo periodo.
A te le valutazioni 😉
NB: i dati sono generati da Google Finance e vanno considerati solo per analizzare l’andamento in % dei due gruppi di titoli e non i valori assoluti espressi in valuta. Si sconsiglia l’uso per finalità di investimento.
Se ho fatto qualche errore non esitare a segnalarmelo. Grazie!
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Alla prossima settimana!
Michele
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